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Giornata della Memoria delle Vittime della Guerra Chimica

Il 30 novembre si celebra la Giornata della Memoria delle Vittime della Guerra Chimica, ad oggi il 99% degli arsenali è stato distrutto e il 98% della popolazione vive in aree non a rischio. La Giornata della Memoria delle Vittime della Guerra Chimica è stata istituita nel 2005 dall'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (OPAC) per sensibilizzare l’opinione pubblica e i governi sulla distruttività di queste armi. Il Global Terrorism Database mostra che dal 1970 al 2019 sono stati 401 gli attacchi chimici, 37 quelle biologici e 13 quelli radiologici e nucleari.


Il 29 aprile del 1997, è entrata in vigore la Convenzione sulle armi chimiche. Ad oggi 165 nazioni hanno ratificato il protocollo. Israele ha firmato nel 1993 ma non ha mai ratificato mentre Egitto, Corea del Nord e Sudan del Sud non hanno aderito. Nel 2013 vi hanno aderito Somalia e Siria mentre nel 2015 Myanmar e Angola.


Interessante è guardare alla storia di queste armi: esistono fin dall'antichità e hanno accompagnato l'evoluzione dell'uomo evolvendosi a loro volta e diventando sempre più letali.


Nell’età della pietra società guerriere in sud Africa usavano frecce velenose (10000 AC) mentre in Mesopotamia (5000-3000 AC) l’acqua e il cibo venivano avvelenati. Scritti antichi cinesi descrivono pratiche per fumi e gas velenosi (1000-400 AC). Troviamo altri esempi nelle guerre di Sparta contro Atene (500 AC), Persiani contro Alessandro (300 AC), Romani contro Sassanidi (300 DC) e Bizantini contro Arabi (700 DC). Esistono scritti cinesi risalenti al IV secolo AC che descrivono l'uso di soffietti per pompare fumo da fuochi accesi con vegetali tossici, nei tunnel scavati dagli assedianti. Scritti cinesi ancora più antichi, circa del 1000 AC, contengono centinaia di ricette per la produzione di gas velenosi od irritanti da usare in guerra ed in altre occasioni.


Il cronista polacco Jan Dlugosz narra l'impiego di gas velenosi da parte degli eserciti mongoli nella battaglia di Legnica nel 1241. Anche Leonardo da Vinci sviluppò varie armi chimiche, come quelle impieganti il verderame. Munster vescovo del 1672 per l’assedio di Groningen utilizzò belladonna e piante dalle bacche nere. Nel 1854, Lyon Playfair, un chimico britannico, propose un proiettile d'artiglieria al cianuro da usare contro le navi nemiche per risolvere la situazione di stallo creatasi durante l'assedio di Sebastopoli.


Dall'arrivo degli europei nel XV secolo alla fine del XIX secolo in America vi è stato il genocidio dei nativi americani: tra le tecniche usate contro i nativi vediamo la diffusione volontaria del vaiolo come arma biologica, regalando agli indiani coperte e cuscini infetti e offrendo loro banchetti con cibo contaminato; una volta diffuso, la mortalità tra i nativi era del 90% dei colpiti. Durante la guerra civile americana, un insegnante di New York, John Doughty, propose l'uso offensivo del cloro, lanciando sul nemico un proiettile d'artiglieria da 254 mm con 2 - 3 litri di cloro liquido, che avrebbe prodotto qualche metro cubo di gas.


È però con la IWW che iniziò l’uso sistematico di armi chimiche da parte di francesi e tedeschi, questi ultimi usarono il cloro il 22 aprile del 1915 nella battaglia di Ypres – fu successivamente usano nel 2007 contro i civili in Iraq – e il fosgene il 19 dicembre 1915 contro le truppe britanniche. Il primo caso documentato da parte degli inglesi a Ypres consiste nell’uso della iprite, fu inventata da un chimico tedesco che sviluppò la produzione industriale di ammoniaca, utilizzata per produrre concime chimico. Tutt’oggi appaiono dal terreno ordigni non esplosi nelle zone coinvolte (ad esempio ad Arras). A fine guerra le riserve tedesche furono gettate nel mar Baltico e sono ancora pericolose. Nella IWW gli agenti chimici si dimostrarono efficienti sul campo di battaglia per il loro effetto letale e il panico che generavano, e poco costosi. Il problema è che non possono essere indirizzati in modo preciso su un target e sono armi non discriminatorie. L’uso di queste armi avvenne quindi in teatri di battaglia marginali o all’interno di stati contro settori della popolazione sgraditi.


Nel 1920 gli arabi e i curdi della Mesopotamia si ribellarono all'occupazione britannica e quando la resistenza guadagnò forza i britannici ricorsero a crescenti misure repressive, e lo stesso Winston Churchill autorizzò l'uso di agenti chimici, specie iprite, sui ribelli. I prodotti chimici venivano anche gettati dagli aerei. L’Italia li usa in Libia 1928 e poi in Etiopia nel 1936: l'Italia fu la prima ad utilizzare aerei per bombardare con fini terroristici i villaggi, secondo i racconti dei capi locali. I franco-spagnoli li utilizzarono per reprimere le ribellioni in Marocco negli anni '30. Pure in URSS si cominciano a sviluppare e si usano per reprimere le rivolte. Lo sviluppo prosegue con Gran Bretagna, USA e URSS che sviluppano gas nervini. I nazisti usarono l'insetticida Zyklon B sugli ebrei.


Successivamente, l’utilizzo a fine anni 60 in Vietnam del Napalm provocò orrore in USA quando apparvero le foto dei giornalisti di guerra. La bambina nuda che fugge è tuttora una delle foto più famose delle conseguenze della guerra.

Nel 1969 Nixon dichiara una moratoria sulla produzione di armi chimiche. Negli anni 70 il Dipartimento per la Difesa americano chiede più volte al Congresso di finanziare la costruzione di un impianto per produrre Bigeye e M687 ma il Congresso rigetta la richiesta sulla base della moratoria di Nixon. Nel 1982 Reagan pone fine alla moratoria del 1969 dichiarando che “la produzione di munizioni chimiche binarie è essenziale all’interesse della nazione” e che “Bigeye e M687 sono necessari come deterrente e saranno usati in caso di rappresaglia dopo un attacco chimico sovietico”. Nel 1993 la Chemical Weapons Convention (CWC) pone fine al programma binario americano.

Il regime iracheno usa napalm e armi batteriologiche durante la guerra contro la rivoluzione curda (foto: bambino curdo con la pelle bruciata dal napalm). In seguito, e fino alla vigilia dell’invasione del Kuwait (1975-1989), il regime rade al suolo circa 5.000 villaggi e una ventina di città, deportandone gli abitanti. In questo periodo, Baghdad fa nuovamente uso di napalm e altre armi chimiche per bruciare campi e foreste. Dal 1987 si aggiungono i bombardamenti con gas letali per eliminare la popolazione: il 15 aprile 1987 vengono bombardati alcuni villaggi in provincia di Sulaimania e in seguito anche in provincia di Arbil. Gli attacchi continuano, culminando nel bombardamento della città di Halabja. Il 16 e il 17 marzo 1988 Halabja (70.000 abitanti), è bombardata a tappeto dall’aviazione con un composto chimico letale. Almeno di dodicimila il bilancio finale delle vittime, tutte civili. Alle proteste internazionali non segue alcuna significativa reazione da parte dell’ONU, che si limita ad una risoluzione generica e non adotta nei confronti dell’Iraq le sanzioni previste dal capitolo 7 della sua stessa Carta. Dopo l’accordo del cessate il fuoco con l’Iran del 20 agosto 1988 Baghdad scatena l’“operazione finale” contro la regione kurda del Badinan. La distruzione chimica del Badinan – esseri umani, fauna e flora, acque, terra, vegetazione – continua dal 25 agosto al 9 settembre, quando le proteste internazionali costringono l’Iraq a sospendere la “soluzione finale” del problema kurdo.

Anche dopo la strage del Badinan l’ONU non interviene: si tratta di una questione interna dello stato iracheno. I danni si trasmettono da una generazione all’altra. Dopo la guerra del Golfo, nelle sedi governative del Kurdistan liberato nel 1991, l’amministrazione provvisoria kurda sequestra diciotto tonnellate di documenti ufficiali sulla pianificazione e la realizzazione dello sterminio del popolo kurdo. Questa documentazione si trova ora nell’Archivio del Congresso degli Stati Uniti. Contiene le prove del genocidio: la commissione di esperti che ha esaminato il materiale ha concluso che di vero e proprio genocidio si tratta. Secondo il diritto internazionale, per processare Saddam Hussein e altri responsabili occorre che almeno uno stato presenti richiesta di incriminazione. Nessun paese ha voluto finora accusarlo. Con l’uso di armi chimiche, la dittatura irachena ha voluto distruggere, insieme al popolo curdo, anche il suo habitat, cancellando ogni forma di vita in larga parte dello stesso territorio statuale. I kurdi attendono ancora giustizia per i fatti di Halabja. Si ritiene che i composti chimici siano stati forniti a Saddam dagli USA.


Un effetto di avvelenamento di tipo chimico è stato l’utilizzo delle testate con uranio impoverito in Iraq ed Jugoslavia negli anni ’90. Fisk riporta la morte di centinaia di migliaia di bambini in Iraq come conseguenza dell’embargo che impediva il commercio anche di farmaci. Magdalene Albright definì queste morti un ‘male necessario’ per sconfiggere il dittatore. In alcuni teatri di guerra sono state usate le armi incendiarie non proibite dalla Convenzione del 1993, come nel caso dell’attacco anglo-statunitense nel 2004 in Iraq dove è stato usato il fosforo bianco oppure in Vietnam dove tra il 1961 e il 1971 gli USA hanno utilizzato un potente erbicida per evitare che i vietnamiti si nascondessero nella foresta, con effetti disastrosi sull’ambiente e la popolazione.


Una lunga storia di distruzione e morte quella delle armi chimiche. Oggi ricordiamo questi morti e leggendo queste storie non possiamo non auspicare che nei prossimi anni le armi chimiche vengano abolite al 100%.

Approfondimenti sul caso curdo: https://express.adobe.com/page/T3PEXwsIBlRDu/


 
 
 

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