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COP27: armi nucleari e ambiente


In questi giorni a Sharm El-Sheikh si sta tenendo la COP27, la conferenza per il clima, che prevede la partecipazione di duecento nazioni, migliaia di delegati di governi, istituzioni internazionali e ONG, ma anche scienziati e giornalisti. Lo scopo della COP27 è di trovare proposte concrete su come attuare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015. Mi sembra quindi importante riprendere il tema del cambiamento climatico e armi nucleari.


Gli elementi che collegano il cambiamento climatico al disarmo nucleare sono molteplici. In un precedente articolo avevo analizzato il legame tra voli militari e emissioni, ma cerchiamo ora di approfondire la tematica sotto altri punti di vista.


Il rischio di un inverno nucleare


Quando si parla delle conseguenze dell'uso di armi nucleari non si possono non considerare gli effetti che le detonazioni nucleari hanno sull'ambiente. La conseguenza maggiore riguarda la possibilità di avere un inverno nucleare. In caso di inverno nucleare le polveri radioattive, dovute alla detonazione, verrebbero trasportate dai venti e costruirebbero uno scudo impermeabile ai raggi solari che farebbe precipitare la temperatura provocando pesanti sconvolgimenti climatici. Di conseguenza si distruggerebbe l’ecosistema da cui dipende la vita sulla terra. Si stima che se venisse usato il 5% delle armi nucleari globali si renderebbe il pianeta inabitabile. Inoltre, vi sono effetti sul buco dell’ozono che avrebbero un grande impatto sulla vita animale e umana, poiché provocherebbero un aumento dei raggi ultravioletti (dopo l’inverno nucleare si avrebbe una primavera ultravioletta) con conseguenti malattie e distruzione della fauna marina. Sia per le radiazioni ultraviolette che per il raffreddamento, l’entità della perturbazione è proporzionale alla quantità di polveri e aerosol immessi nell’atmosfera, che a sua volta dipende dal numero di detonazioni nucleari, dalla resa delle singole bombe e dalla modalità dell’attacco. Se anche venisse usata una minima quantità di armamenti nucleari si avrebbe una tempesta di polveri che coprirebbero il sole e poiché il cibo non può crescere senza la luce si avrebbe una carestia a livello mondiale. La minaccia nucleare è, quindi, anche una minaccia ambientale.


La competizione per le risorse


Il cambiamento climatico a cui stiamo assistendo ha tra le tante conseguenze anche la competizione per le risorse. Man mano che esauriamo le risorse del pianeta gli Stati entrano in competizione tra di loro per l'accesso a queste risorse. Il tutto crea un clima (curioso il gioco di parole) internazionale sempre più teso. Le relazioni tra gli Stati si deteriorano e il rischio di scoppio di una guerra aumenta. Di conseguenza, anche il rischio di scoppio di una guerra nucleare. Non a caso il cambiamento climatico è uno dei parametri che ogni anno il Bulletin of the Atomic Scientists considera nel calcolare l'orologio dell'apocalisse che indica quanto tempo manca alla fine dell'umanità.


Dove scelgono di investire i governi?


Nel 2015 a Parigi gli Stati avevano deciso di investire 100 miliardi di dollari all'anno nella lotta al cambiamento climatico. Non soffermandoci sul fatto che questo obiettivo non è stato raggiunto, compariamo questo impegno con l'attuale budget militare. Nel 2021 sono stati spesi 2 mila miliardi di dollari in spese militari: esattamente il 5% della spesa militare mondiale corrisponde alla spesa mondiale per il clima. Gli Stati quindi continuano a scegliere di investire nella guerra e non nella salvaguardia del pianeta, andando ad alimentare questo rapporto tra cambiamento climatico e guerra che si auto-alimenta.




 
 
 

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